Da circa dieci anni a questa parte, si parla tantissimo di gamification. Questo termine è entrato nel linguaggio comune a seguito di una conferenza tenuta nel 2010 dal game designer Jesse Schell a Las Vegas. Sono diverse le definizioni che vengono utilizzate per spiegare questo termine. Una delle più diffuse considera la gamification come l’applicazione di principi di game design a contesti che di ludico non hanno nulla.
Un errore che troppe persone tendono ancora a fare vede in primo piano l’associazione tra il concetto di gamification e il fatto di trasformare in gioco qualsiasi momento della quotidianità. Inoltre, la gamification non deve per forza essere divertente. I momenti di divertimento possono verificarsi, ma non sono e non saranno mai l’obiettivo dei processi a cui stiamo dedicando questo articolo.
Un altro aspetto sul quale vale la pena di soffermarsi riguarda il fatto che, quando si parla di processi di ludicizzazione, si inquadrano percorsi che possono trovare applicazione in svariati ambiti, dalla fidelizzazione dei clienti di un’azienda fino alla scuola.
In merito a quest’ultimo mondo, è il caso di aprire una parentesi. I meccanismi di gamification sono sempre più applicati in aula perché, dati alla mano, attraverso il fare viene appreso il 70% delle informazioni veicolate (uno stacco notevole se si considera il fatto che, in media, con la didattica frontale la sopra citata percentuale è pari al 10).
Attenzione: nel momento in cui si parla di gamification sui banchi di scuola, è necessario andare oltre ai videogiochi. Anche strumenti analogici come i giochi di carte collezionabili – ovviamente incentrati su un tema legato a una materia presente nel programma – possono rivelarsi di grandissima utilità. In tutti i casi, spetta al professionista che ha il ruolo di educatore accertarsi che l’alunno sia protagonista o per meglio dire costruttore del percorso di apprendimento.
Quali sono le differenze tra gamification e serious game?
Una parentesi che è doveroso aprire quando si parla di gamification è la differenza tra questo concetto e quello di serious game. Quando si chiamano in causa questi ultimi, si inquadrano dei giochi che sono stati progettati con il fine di applicarli in contesti diversi rispetto a quello del mero intrattenimento ludico.
Giusto per fare un esempio, rammentiamo che, nei casi in cui si scarica un’app come Runtastic o Strava con lo scopo di confrontare le proprie performance sportive con quelle di amici e parenti, si ha a che fare con la gamification (il contesto di base, infatti, nulla ha a che fare con il gioco ma riguarda il benessere fisico e mentale).
Nelle situazioni in cui, invece, si ha a che fare con un gioco vero e proprio, concretizzato nella sua completezza, si parla di serious game.
Tecniche di gamification
Concludiamo ricordando che, ogni volta che si parla di gamification, si inquadrano diverse tecniche. Tra le più importanti rientra quella che prevede la raccolta di punti. Anche se a questi ultimi non è legato un valore specifico nella realtà, se il processo è ben gestito si riesce comunque a parlare di un forte coinvolgimento degli utenti. Da non dimenticare è anche il livello, che rappresenta un forte driver motivazionale in quanto porta chi vive l’esperienza a cercare di superare, a prescindere dall’ambito in cui la ludicizzazione viene applicata, i propri limiti.
Un doveroso cenno va poi dedicato all’accumulo di beni virtuali da parte di avatar (aspetto che diventerà sempre più importante anche in considerazione dell’avvento, nel prossimo futuro, del Metaverso). Tra task da completare e momenti di cooperazione, la gamification ha davvero tante facce. Quello che conta è che queste ultime vengano applicate da trainer esperti, in modo da evitare di sfociare nel micromanagement, un approccio considerato estremamente negativo per via del controllo eccessivo da parte di chi occupa i posti più alti della gerarchia in un determinato contesto di interazione sociale